martedì 23 dicembre 2014

kalokagathìa



duepunti:

di Sandra Tornetta


Dal greco antico kalòs kaì agathòs, bello e buono, che usati insieme rendono al meglio l’ideale di perfezione a cui gli antichi Greci tendevano. Ritenevano infatti che ciò che fosse bello esteriormente dovesse necessariamente essere anche buono; viceversa, la bruttezza era considerata sinonimo di cattiveria.
Questo infelice connubio fra etica ed estetica ha prodotto nel corso dei secoli molteplici conseguenze, soprattutto nella teoria dell’arte. L’adesione alla kalokagathìa ha motivato quegli artisti che hanno riconosciuto nel classicismo  un ruolo fondante per la determinazione di valori estetici assoluti, quali l’armonia, la proporzione, l’equilibrio.
Il filosofo Friedrich Nietzsche associa questo apparato valoriale al concetto di apollineo, ma non dimentica di far notare che la spiritualità umana necessita anche della controparte, il disordine, il perturbante, il caos, che egli denomina dionisiaco.
Tutti gli artisti che hanno dato voce al dionisiaco hanno cambiato per sempre la storia dell’arte mondiale; Caravaggio, Van Gogh, Picasso sono solo alcuni dei detrattori della kalokagathìa, senza i quali l’arte oggi e il nostro modo di percepirla non sarebbe lo stesso.

Pablo Picasso, 1907, Les Demoiselles d'Avignon, olio su tela243,9x233,7cm, MoMA di New York
L’arte ci insegna che il mondo non è a due dimensioni ma acquista senso proprio in virtù della sua complessità, e semplificare non aiuta a comprenderlo meglio ma a banalizzarlo.

 "Le idee chiare e precise sono le più pericolose perché non si osa più cambiarle" – Andrè Gide

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